Il Pantheon

Pantheon


Non sembra azzardato far risalire i primi contatti tra Niccolò Puccini e Alessandro Gherardesca al 1825, forse mediati dall’ambiente livornese, dove l’architetto-ingegnere pisano era noto come depositario di una cultura architettonica aggiornata. Più difficile è risalire alle ragioni del coinvolgimento di un esponente del registro “alternativo” medievalista, già sperimentato nei “completamenti di stile” pisani. Si può supporre che all’inizio non fosse estranea nel committente l’esigenza di saggiare un messaggio architettonico che non si limitasse a una semplice “questione di stile”, per aprirsi alla lezione della Storia, all’affermarsi di una “ragione civile”. Il paradosso doveva consistere in una marcata coincidenza di tempo tra progetto e scelte del proprietario, che bocciò la “facciata postica” in stile gotico e optò per una soluzione “attica”, omogenea alla mutata funzione dell’edificio (da “scuola di mutuo insegnamento” a “Pantheon degli uomini illustri”). Le suggestioni medievali avrebbero agito sui rifacimenti del castello e del tempio gotico, ma in assenza di Gherardesca.


Un dato di fatto, comunque, è indubitabile: il progetto della “Scuola di Mutuo Insegnamento”, commissionata da Niccolò Puccini, veniva pubblicato da Gherardesca con la caratteristica duplice veste stilistica. Se la fedeltà ai modelli assoluti e universali del neoclassicismo trovava conferma nelle tavole con il disegno della facciata (tavola a sinistra) e della sezione interna (tavola in baso a destra), il progetto della “facciata postica” si allineava invece ai saggi linguistici, propositivi di valori romantici. Mentre è stato messo in discussione il ruolo di rottura, in senso ideale e politico, delle scenografie medievaleggianti, si tende a riconoscervi un’adesione relativa alle dimensioni municipali (in questo caso i richiami investivano il gotico pisano, nell’accezione “fiorita” di Santa Maria della Spina). Il percorso per giungere al Pantheon romantico nazionale, con la soluzione improntata alle tre classi accademiche ottocentesche di protagonisti “degni” della letteratura, delle arti figurative e delle scoperte scientifiche, per la fabbrica di Scornio fu lungo e faticoso.


“L’osso più duro sarà quel maledetto fanfarone di Gerardesca, ottimo nel fare progetti ideali, ma poco adatto ai reali: ieri sera discorsi due ore con Digni che la saluta, Mariotti è per la strada, ed io non so cosa risolvere di decisivo intorno la nota scuola, se non che d’aspettare un poco e quindi lasciarlo come Digni, e portarne cosa un altro e fare da me, con il muratore.” (dalle lettere di Niccolò Puccini)


Al fine di ripercorrere le vicende nell’evolversi della proposta di Gherardesca da “scuola di mutuo insegnamento” a “Pantheon degli uomini illustri”, secondo un compendio della grandezza del genio italiano, un contributo non indifferente deriva dal corteggio pucciniano. Proprio le lettere alla madre con le risposte di lei e di Alessandro Gherardesca, oltre a fornire i termini cronologici per affermare la priorità del Pantheon di Scornio rispetto al giardino Roncioni (1831), ristrutturato a Pisa dal medesimo architetto, indicano uno stato di tensione fra l’autonomia del progettista, renitente a sottostare ai controlli, e la volontà del committente di portare delle variazioni al progetto originario. Una volta terminato, il Pantheon rispondeva ai canoni di un classicismo misurato, capace al tempo stesso di introdurre elementi compositivi che manifestavano una nuova sensibilità nell’uso delle superfici, della luce, dei colori, dell’apparato decorativo. In tal modo, l’edificio, eretto in posizione elevata nella parte più alta del lago (oggi interrata), assumeva “un aspetto ameno e romantico”.